Il Sermig è nato il 24 maggio del 1964, in un’epoca di violenta contestazione. Un’epoca in cui per essere veramente cristiani occorreva rivendicare, condannare, schierarsi secondo un’ideologia. Ma noi volevamo restare "attaccati" a Gesù, il Figlio di Dio che ha parole di vita eterna. Attaccati a Lui per lottare contro la fame, contro le ingiustizie, contro il peccato in tutte le sue espressioni di orgoglio e di egoismo, di odio e di violenza. È iniziato così un cammino che ha messo in gioco noi stessi, il nostro tempo, la nostra intelligenza, i nostri beni materiali e spirituali.
Abbiamo subito capito che la nostra vita doveva mantenere il volto che Dio ci stava svelando: restare "nella mischia", in mezzo ai dolori del mondo, nell’immondizia della vita ma da innamorati di Dio, amando perdutamente la Chiesa. I segni dei tempi che continuamente ci interpellavano e sfidavano la nostra ragione ci chiedevano di restare "dentro" la storia, di calare ciò in cui credevamo nel concreto di incontri e situazioni. Questo è diventato il nostro modo di credere nell'incarnazione, di credere che proprio questa storia in cui ci troviamo immersi, e non un'altra, è storia sacra.
La nostra forza, poi, doveva rimanere il servizio: servire Gesù e non servirsi di Lui, servire la Chiesa e non servirsi della Chiesa; servire i poveri e chiunque ci avvicinava. Così siamo cresciuti e continuiamo a crescere, vivendo la Spiritualità della Presenza di Dio e con una formazione permanente. La preghiera, infatti, come la preparazione, devono accompagnare il servizio per tutta la vita. Bisogna prepararsi, studiare, approfondire le motivazioni, sapersi rinnovare, radicarsi sulla Roccia per non perdersi, per non farsi travolgere. Bisogna capire il mondo, capire la politica, la scienza... vederli alla luce di Dio.
I tanti esempi di uomini e donne di Dio e di pensiero che abbiamo incontrato ci hanno insegnato il come: prima lo Spirito, poi la ragione, la ragione al servizio dello Spirito. Il cuore, se è dimora dello Spirito, vede prima. Il cuore dell’uomo, se non si lascia sedurre dal mondo, dal male, vede il Regno di Dio. E vede le risposte che possono rendere presente questo Regno, già qui tra noi. Nel mondo ci sono fame, guerre, schiavitù di bambini usati per il vizio... ma il cuore vede le potenzialità dell'amore. E ci fa annunciare con la vita un Regno di giustizia, di pace, un Regno di vita buona per tutti.
Stare in mezzo ai poveri cercando la realtà del Regno di Dio ci ha aiutati a maturare una scala di valori, che si è fatta mentalità ed insieme stile di vita. È lo stile tradotto nella nostra Regola "Sogno che fra cent'anni". Di essa una cara amica, scrittrice e teologa, Flaminia Morandi, ha scritto: "Forse non bisognerebbe chiamarla più regola, ma mentalità. Non c’è regola per chi si mette dietro Cristo, ma solo una mentalità che cambia un passo dietro l’altro lasciandosi dietro ciò che non serve, come il vestito del bruco che è diventato farfalla... Mentalità, più che regola, è una parola che corrisponde alla scuola affettuosa del Sermig, dove non ci sono occhi severi ma solo braccia aperte per chiunque bussi, e il sorriso della pazienza".
Una mentalità che negli anni è diventata "cultura" di vita, di pace e di "restituzione", guidando le nostre scelte e le nostre attività, dando una cornice e una direzione ai nostri sogni. Abbiamo capito che avevamo bisogno di maestri ed abbiamo "logorato i gradini dei saggi", interpellando uomini di scienza e di cultura, credenti e non credenti, gente tosta, di grande umanità ed esperienza, sapendo che "se mi siedo attorno ad un tavolo con altri è perché sono disposto a cambiare qualcuna delle mie idee". Perché chi è libero davvero da ogni tipo di interesse non ha paura di cercare consiglio. Un dialogo continuo sulle sfide del nostro tempo che ci ha permesso di comprenderle e interpretarle, di attrezzarci per affrontarle, ma anche e soprattutto di dare risposte concrete e di collaborare con altri nel farlo, a qualunque credo o ideologia appartenessero. Senza perdere però la nostra identità, fatta di un pensiero e di una coscienza.
È così che alle carità verso i miseri negli anni abbiamo affiancato quelle verso le "misere idee": la rivista mensile Nuovo Progetto, il portale giovanipace.org, l'Università del Dialogo sono nati dalla passione del cercare il perché delle cose per poi imparare a fare bene il bene. Imparare anche a difendersi, ad essere critici, a non lasciarsi strumentalizzare da nessuno.
Anche le migliori strutture sociali, infatti, non portano la pace e la giustizia se a sostenerle non ci sono comunità di persone che abbiano delle idee in testa, ed agiscano con convinzione secondo coscienza. Oggi si è perso il senso delle cose, il senso della vita. Gli egoismi ci hanno chiuso occhi ed orecchie. Stiamo diventando automi, che agiscono solo sollecitati da stimoli quali la pubblicità, il fascino del potere, la pornografia... È importante dare di nuovo vita ad un pensiero "forte", un pensiero che torni a far pensare. Non forte perché voglia schiacciare altri, ma perché reso autorevole e deciso dalla prova della vita. L'impegnarci in prima persona sulle nostre convinzioni è sempre stata per noi la verifica migliore, un modo per imparare dagli errori e per non chiedere ad altri ciò che noi non fossimo disposti a fare per primi.
Abbiamo capito che non basta gridare slogan in una marcia della pace, ma che tutta la nostra vita deve diventare, 24 ore su 24, una marcia per la pace. Questo è possibile se facciamo nostro un pensiero che dilati la speranza. Che contrasti la cultura dominante dell’individualismo e del pessimismo, responsabile di una diffusa mentalità astiosa, disfattista. Una cultura che metta la persona e la vita davvero al primo posto, dal concepimento alla sua fine naturale, nei fatti come nelle parole, e creda che la vita nasce nuova ogni giorno. |
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Tante storie recenti, tra le mille raccolte nella vita degli Arsenali, ci hanno di nuovo interpellato. Storie che chiedono risposte, che chiedono speranza. Queste storie sono un appello non solo materiale ma ancora una volta anche culturale. Chi lo raccoglie? Chi lo vuole ascoltare? Chi accetta di lasciarsi guardare in faccia da questi volti e lasciarsi mettere in discussione? San Paolo (1 Tm 1,5) scrive che “la carità nasce da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera”. L’altro, l’altro che ha bisogno, lo riconosciamo solo quando le coscienze sono limpide. E oggi molto spesso non è così. La nostra Italia è un paese in decadenza come tutto l’occidente. Ma la decadenza ha una causa: aver abbandonato la propria coscienza e aver invece dato spazio all’avidità.
Leggendo la storia, vedendo i misfatti avvenuti nel passato, spesso ci chiediamo come siano potuti accadere, ci chiediamo se non c’era un pensiero forte che potesse opporsi al male. Ci chiediamo, in particolare, dov’erano i credenti in Dio di qualunque religione, gli uomini di buona volontà. Non so rispondere. Ma so fare una domanda: com’è possibile adesso, nella nostra epoca, nella nostra Italia sentire uomini politici ma anche persone comuni che fanno affermazioni assurde, senza che emerga un pensiero serio a contrastarle, senza che alcuno aiuti la gente a fare dei ragionamenti?
Da più parti si sente parlare di questione morale. Morale: chi ha l’autorevolezza per usare questa parola? Tanti che sono preposti a vigilare, denunciare, governare non lo fanno quasi mai. Ma anche noi, gente comune, abbiamo una parte di responsabilità per aver accettato tante illusioni, per esserci lasciati diseducare senza reagire da programmi televisivi che ci hanno tolto la criticità e hanno addormentato le nostre coscienze. I maestri più ascoltati sono uomini e donne "immagine" che il più delle volte fanno passare per normale ciò che normale non è. Ma l’oggi è ancora per un po’ di tempo nelle nostre mani.
Chi può aiutarci ad arrestare questo declino? Noi abbiamo speranza. Abbiamo fiducia nell’uomo che riscopre le sue potenzialità di bene, la sua libertà di sottomettersi con gioia al bene comune, che vive l’appassionata ricerca della verità. Abbiamo fiducia nell’uomo che si assume le proprie responsabilità, che torna a dire dei sì e dei no. Dobbiamo sapere che questo mondo vuole comprare tutto e tutti. Noi dovremmo portare un cartello attaccato addosso: non sono in vendita! Se noi non ci vendiamo l’offerta calerà. Riappropriamoci delle nostre coscienze, riappropriamoci della nostra vita!
Ci rivolgiamo a noi cristiani. Dobbiamo avere il coraggio della verità. Noi cristiani abbiamo smesso di essere segno, siamo diventati i cristiani del “buon senso”, del quieto vivere; un po’ alla volta, siamo riusciti a conciliare il Vangelo con la mentalità del "mondo". Che la mentalità del mondo attorno a noi tornasse ad essere pagana ne è stata la logica conseguenza. Ma “se anche il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si salerà?” (Lc 14,34). Possiamo essere determinanti, solo se smettiamo di essere del mondo e torniamo all’essenza della nostra fede. Oggi che differenza passa tra uno che è cristiano e gli altri? Cosa vuol dire oggi per la coscienza dei cristiani “non rubare” o “non giurare il falso”? Gesù è venuto ad allargare la coscienza di chi lo segue, facendo spazio all’amore per il prossimo, al perdono del nemico… Ma cosa hanno cambiato queste parole nella nostra vita?
Oggi il Vangelo è diventato “scandalo” prima di tutto per noi battezzati, inconciliabile con la nostra vita, con le nostre esigenze, con i nostri desideri, con la nostra "cultura". Continuiamo a girare attorno ai problemi con indagini, convegni, e non arriviamo a sciogliere il nodo del “venite e vedrete” (Gv 1,39). Ci interroghiamo sulla pace ma non diamo diritto di parola al Principe della pace. Spesso oggi, come singoli e come comunità cristiane, non siamo testimoni credibili di una cultura dell’amore reciproco e della condivisione. La mentalità del nostro tempo fatto di benessere, di prevalenza dell’io sul noi, di immagine, di autosufficienza… ci è entrata talmente dentro da soffocare la mentalità biblica dei “piccoli e dei poveri di Yahve”. Se non ritroviamo la strada dell’umiltà di chi sa di aver bisogno in tutto e sempre di Dio e dell’altro - il fratello -, non c’è più dialogo tra la creatura e il suo Creatore, non c’è più comunione tra credenti, e la Chiesa non ha più nulla da dire alla gente.
I discepoli di Gesù, i primi cristiani, con tutte le loro sofferenze, con tutte le loro difficoltà hanno portato la loro testimonianza decisiva nel mondo pagano che li circondava, perché sono stati credibili, e quindi autorevoli. L’annuncio era la loro vita, la loro cultura, davvero intrise di Gesù. Ora questa sfida è affidata a noi, al nostro tempo. Oggi a noi Chiesa è affidata la missione profetica di testimoniare una nuova umanità possibile, di dare vita ad una nuova cultura, improntata dall’amore vissuto. Ma non bastano pochi uomini di buona volontà. C’è bisogno di intere comunità, c’è bisogno che la Chiesa tutta si converta a questa missione e lo faccia subito! I più sensibili si sono già impegnati nella carità, a nome di tutti. Ma non basta. Il Vangelo è per tutti. E tutti sono chiamati a lasciarsi interrogare dall’esempio del samaritano che sulle strade del mondo scende dal cavallo delle sue certezze e si prende cura del ferito.
Per scaldare il cuore agli altri dobbiamo conservarlo caldo noi. C’è bisogno che anzitutto noi Chiesa ci rievangelizziamo per portare alla gente la buona notizia: il mondo si può cambiare! Uno dei segni che il paganesimo ci ha presi è che anche nei nostri ambienti la gente attribuisce a Dio tanti mali frutto invece dell’avidità, dell’incuria, del disinteresse di molti di noi. Le nostre comunità devono tornare a “parlar cristiano”, a "pensare cristiano", ad “amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze” (Dt.6,5). Il Signore, ne siamo convinti, ci sta domandando con forza di tornare ad essere cristiani a tempo pieno, 24 ore su 24. |
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La storia ci insegna che nei momenti difficili può nascere il meglio, finalmente il meglio. Da adesso in poi riprendiamoci la vita in mano. C’è bisogno di silenzio e di donne e uomini che fanno dei fatti per abolire tutte quelle ingiustizie che sono alla nostra portata. C'è bisogno di tornare ad una cultura della speranza. Ci riusciremo nella misura in cui nel nostro cuore ci crediamo veramente. Siamo ad un appuntamento con Dio, con la storia sacra. Cerchiamo di non perderlo.
Ci piacerebbe che noi cristiani del terzo millennio trovassimo il modo di far rivivere le pagine dell’autore anonimo del II secolo che scrive la Lettera a Diogneto. I cristiani vi sono descritti come brava gente, si vogliono bene, rispettano le leggi, vivono nella loro patria, ma come forestieri, dimorano sulla terra ma hanno la cittadinanza in cielo; non gettano i neonati, vivono del loro lavoro, non si distinguono per un abito particolare ma sono riconoscibili per la bontà; quando sono maltrattati, ingiuriati e condannati benedicono. Sono l’anima del mondo.
Sarebbe bello che, da oggi, di noi cristiani si potesse dire: sono donne e uomini che si vogliono bene tra di loro, che non parlano mai male di nessuno; che quando sanno di un problema, di una povertà si fanno in quattro senza attendersi un grazie; sono quelli che non fanno manifestazioni “contro” qualcuno ma portano in piazza la loro speranza, per dire che la luce è alla portata di tutti; che non condannano nessuno, perché Gesù non condanna. Ama, continuamente.
La luce annulla il buio. E noi dell'Arsenale della Pace, insieme a tanti giovani che camminano con noi, vogliamo squarciare il buio che ha corrotto e anestetizzato le coscienze della nostra società. Ne rifletteremo con tutti coloro che vorranno prepararsi con noi e poi partecipare al 3° Appuntamento Mondiale Giovani della Pace, il prossimo 28 agosto 2010 all'Aquila. Siete tutti invitati! |
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