Carlo Maria Martini, amico e maestro

Pubblicato il 06-09-2012

di Redazione Sermig

Venerdì 31 agosto si è spento il cardinal Carlo Maria Martini. Dai primi incontri a Chieri agli ultimi a Gerusalemme e a Gallarate, il cardinal Martini è stato per la nostra Fraternità una guida preziosa, un riferimento costante, un amico e un padre. Ci ha offerto una testimonianza luminosa di profonda umiltà, di fede incarnata, di speranza profetica. Uomo tutto di Dio e tutto della gente, uomo della Parola e del dialogo, del quotidiano e dello slancio profetico. Semplicemente un cristiano.
Nell’ultimo colloquio svoltisi a Gerusalemme con Ernesto Olivero, ci ha lasciato un messaggio che teniamo caro come un vero testamento spirituale:


L'amicizia che ci univa non è venuta meno neppure negli ultimi anni di sofferenza a Gallarate, da dove provengono i suoi ultimi due messaggi:

“Fedeltà, fedeltà, fedeltà”
5 marzo 2009

“Caro Ernesto Olivero,
so che voi mi custodite nella preghiera e mi sento in una speciale consonanza di spirito”
10 novembre 2011


L'1 febbraio 1996 il card. Carlo Maria Martini venne all’Arsenale della Pace per tenere una "lezione di pace". Fu per noi una doppia carezza di Dio: quello, infatti, fu anche il giorno dell’apertura del nuovo Arsenale del Sermig a San Paolo del Brasile, l’Arsenale della Speranza. Di seguito, video e testo dell’incontro.

Introduzione alla "lezione di pace"

"Lezione di pace"


“Finalmente il card. Martini è qui a Torino con noi. Abbiamo chiesto a lui a di scegliere la data. Se avessimo dovuto scegliere noi, non avremmo potuto scegliere una data più importante, perchè oggi la nostra vita cambia nuovamente. Infatti oggi a S. Paolo del Brasile abbiamo aperto un Arsenale, l’Arsenale della Speranza, che se ci vedrà umili e costanti sarà una meraviglia del Signore. Un Arsenale nato in un luogo di grande sofferenza perché ha visto milioni e milioni di italiani e di altri emigranti fare la quarantena prima di essere ammessi nel Paese. Il governo brasiliano con il cardinale di S. Paolo, nostro grande amico, ci ha chiesto di abitare questo luogo e noi abbiamo detto di sì. Nella messa che celebreremo fra poco, diremo i nomi dei ragazzi che lasceranno tutto per andare in Brasile. Quindi per noi è un momento di commozione immensa.
In un giorno così avere la visita del Cardinale io credo sia una cosa che non avremmo osato pensare perché il Cardinale Martini in questo momento, e non solo in questo momento, è un uomo di una grande tenacia e di una grande trasparenza. E ogni volta che parla io penso che dia veramente un segno di speranza e di profezia.
Grazie Padre per essere qui con noi”.

Alle parole di benvenuto di Ernesto Olivero, segue il discorso del Cardinale.

“Quando da bambino passavo qualche volta davanti a questo edificio e mi dicevano che era l’Arsenale militare, non immaginavo che qui un giorno avrei celebrato l’Eucarestia, né che l’avrei celebrata venendo da Milano come Vescovo, né che l’avrei celebrata con una grande folla di amici, di persone care come siete voi, e né che avrei vissuto così intensamente questa testimonianza di fede e di pace che voi date. Sono molto lieto di entrare finalmente in questo luogo e di conoscervi personalmente, perché finora l’avevo fatto soltanto per iscritto e attraverso gli incontri con quella persona carismatica di Ernesto che è stato tante volte da me a Milano.
E quindi rendo innanzitutto grazie a Dio che mi permette di vivere qui questa Eucarestia, in questo luogo, in questo momento, e in questa compagnia.
Oggi è una data importante per voi, il giorno della consegna del premio Artigiano della Pace, ma debbo riconoscere che questa vigilia del 2 febbraio, festa della Presentazione al Tempio del Bambino Gesù, è una data importante anche per me. Questa festa è stata per me il momento dei miei voti definitivi nella vita religiosa come gesuita, oltre 30 anni fa; era ancora un 2 febbraio il giorno in cui prendevo possesso come Arcivescovo della diocesi di Milano e ancora una volta un 2 febbraio il giorno in cui il Papa mi chiamava a essergli più vicino come Cardinale di Santa Romana Chiesa. E quindi questo giorno è anche per me legato a tante liete memorie e sono felice che queste memorie si uniscano con iniziative vostre.
C’è un’altra coincidenza che mi colpisce pensando al Vangelo di domani: è lo stesso Vangelo che ricorre il 29 dicembre. Esattamente quel giorno, 16 anni fa, il S. Padre mi mandava come Vescovo a Milano. Esiste quindi una serie di circostanze all’apparenza fortuite, ma per chi sa che la Provvidenza regge ogni cosa, ci fanno sentire che siamo nelle mani di Dio, sotto il Suo sguardo, viventi alla Sua presenza.

Questo luogo voi l’avete chiamato Arsenale della Pace, dalle parole del profeta Isaia che vede la trasformazione delle spade in vomeri e delle lance in falci. L’avete chiamato anche Casa della Speranza; oggi questa virtù è di grande attualità, perché è molto necessario per l’Europa sperare, c’è una grande paura del futuro. Anche la denatalità e l’invecchiamento precoce sono cose che derivano dalla mancanza di speranza.
Non solo: questa Casa della Speranza è intitolata al card. Michele Pellegrino. Anche questo nome suscita in me memorie carissime. Ogni volta che lo sento, è uno stimolo all’onestà, alla rettitudine, alla semplicità, ma anche alla missione propria del vescovo.
Altri nomi mi risuonano nel cuore: quello del card. Maurilio Fossati, con lui ho fatto la prima comunione, la cresima, e infine mi ha ordinato sacerdote. Un grazie e un pensiero riconoscente al card. Ballestrero, cui devo tanto sia come maestro spirituale sia come guida nei miei primi passi da vescovo. Un grazie e un pensiero riconoscente al card. Saldarini, già mio strettissimo collaboratore.

Ho quindi tanti motivi per essere contento di stare finalmente qui stasera. Sono contento per la vostra presenza così viva in questa città e per l’irradiamento che da questa città voi avete in tanti Paesi del mondo in cui operate o vi preparate ad operare. Con ciò è chiaro che io sono venuto qui soprattutto per incontrarvi, per ascoltare e conoscere il lavoro che si fa qui, con quali invenzioni lo si fa, imparare dai vostri progetti. Voi mi avete chiesto di venire a darvi una ‘lezione di pace’, ma io non intendo e non posso minimamente dare lezioni. Questo invito mi ha spaventato, la mia prima reazione è stata quella di Giovanni Battista davanti a Gesù: ‘Io ho bisogno di essere battezzato da Te, non Tu da me’…
Quindi siete voi che in tutti questi anni mi avete dato lezioni teoriche e pratiche di pace, siete voi che fate lezioni di pace, con i vostri mezzi, le vostre iniziative vulcaniche, gli scritti di Ernesto. Al massimo posso fare qualche riflessione sul tema della pace e della guerra”.


La sua "lezione di pace"

La mia riflessione si articola in 4 punti:

1 - Il mistero della pace
2 - I problemi della pace oggi
3 - Le istituzioni di pace
4 - La profezia di pace


1) Mi sono detto: “c’è un mistero della pace, e come si può riassumere? E se c’è un mistero della pace dipendono da esso tutte le azioni di pace?” E mi pare che il mistero della pace in parole molto semplici si potrebbe esprimere con le parole degli angeli a Betlemme: “pace in terra agli uomini che Dio ama”, e nelle parole di Gesù in Gv 14,27: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”.
Con ciò vedete dunque che la pace è un mistero, è di Dio, è dono di Dio. Quindi alla fine, al di là di ogni sforzo umano, anche di intelligenza e volontà, è sempre dono, viene dall’alto ed è legato alla regalità di Dio, è dono messianico. E quindi essendo pace di Dio, è pace con Dio. E’ molto bello in questo senso Is 37,5. e la frase di San Paolo ai Romani: “noi siamo in pace con Dio”.
Questo dunque è il mistero con cui Dio e l’uomo sono veramente uniti perché la pace, lo shalom biblico, è il frutto della risurrezione. Gesù apparendo risorto agli apostoli dice: “Pace a voi”. Pace, shalom non è dunque solamente mancanza di guerra, equilibrio, tranquillità, o una certa pace interiore, quasi un’assenza psicologica di problemi e angosce.
E’ il pegno messianico che consiste anzitutto nel perdono di Dio e quindi nella riconciliazione dell’umanità con Dio e perciò nella figliolanza divina, nel superamento della paura della morte, nell’essere una cosa sola con Gesù, nell’essere Chiesa, nel perdonare con Gesù ai propri nemici, nel dare con Gesù perdono e pace a tutti.
Ecco come il dono fatto a ciascuno diventa comunicativo.
Dio che perdona a noi e noi che perdoniamo agli altri: questo è il mistero della pace. E’ l’immersione di noi nel mistero di Cristo, nella sua Chiesa il mistero della pace. E’ in Cristo la pienezza di tutti i doni possibili.


2) Il problema che si pone soprattutto per un cristiano è quello di entrare nelle parole di Gesù che dice: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace, non come la da il mondo io la do a voi”. Questo è il grosso problema. C’è differenza, e Gesù lo esprime chiaramente, tra lo shalom di Dio e la pace del mondo. Non sono la stessa cosa, anche se c’è similitudine di parola. L’una è in relazione con l’altra ma non c’è identità tra di esse. Non si può sovrapporre o immaginare che se c’è l’una c’è anche l’altra.
E allora il grande problema, la questione da mettere continuamente al centro è “in che modo la pace che da il mondo non è pace di Dio?” e “in che modo la pace di Dio influisce sulla pace del mondo?” Io certamente non posso approfondire qui questo il problema, ma vorrei indicare un testo significativo, che dovrebbe essere proprio la magna charta dei rapporti tra pace di Dio e pace del mondo: nella Gaudium et Spes, cap 5, n°78 si dice: “la pace non è la semplice assenza della guerra ma è opera dell’Altissimo”; “la pace è frutto anche dell’amore che va oltre ogni divisione: questa è segno della pace di Cristo che è la pace perfetta”.
Ecco dunque, questo è il primo problema e direi il maggior problema della pace oggi per un cristiano: il rapporto tra la pace di Dio che è serenità di spirito, che è grazia, che è dono dello Spirito e la pace tra gli uomini.
Non c’è un rapporto immediato ma c’è una continua osmosi dell’una nell’altra.


3) Qui però emerge il secondo problema che è molto più drammatico perché è molto vicino a noi e alla nostra esperienza quotidiana. Ed è dato dalla domanda: “ma le religioni danno davvero pace?” “Sono strumento di pace?” “Vogliono davvero operare per una pace vera tra gli uomini?”
E noi vediamo che la risposta a questa domanda è veramente drammatica. Che le religioni abbiano fatto tantissimo in senso negativo è incontestabile, anzi spesso sono state la causa dei contrasti, di conflitti feroci o esse hanno legittimato guerre crudeli e sanguinose. Basta dare uno sguardo al Medio Oriente e alla ex Yugoslavia o al Rwanda. Qual è la logica di questa spietatezza? “Se Dio è con noi, con la nostra religione, con la nostra fazione, il nostro partito, allora tutto è permesso nei confronti degli altri”: ma questo è il colmo! In questo modo in nome di Dio si può ferire, distruggere, uccidere! E noi, che diciamo di avere la pace di Dio, siamo sempre stati un popolo fautore di pace? Di perdono, di riconciliazione tra gli uomini?
Noi sappiamo che a questa domanda non si può rispondere purtroppo unicamente con un pieno “sì”, anche se sarebbe errato e ingiusto rispondere con un secco “no”. Questa domanda resta inquietante.
Non si può rispondere solo con un no perché certamente sono innumerevoli i gesti, le azioni di pace promosse dai cristiani e dagli uomini religiosi in tutto il mondo. E la coscienza universale che oggi c’è del bisogno di pace e della necessità di evitare la guerra, la coscienza del bisogno di trattare senza soste, la coscienza dei diritti dei più deboli, lo sappiamo che storicamente sono tutte esigenze che si sono fatte strada grazie anche al cristianesimo e non possiamo negare che i papi di questo secolo sono stati i più autorevoli, i più grandi operatori di pace.
E tuttavia resta vero che non basta dire religione per dire pace. Non solo nel senso che l’uomo è sempre incline al peccato e bisognoso di conversione e quindi spesso non vive le parole della religione che professa con le labbra, ma anche nel senso che una religione non ben intesa, può diventare, ed è diventata nella storia, strumento di forte identità che poi si identifica con l’identità nazionale, etnica. Non possiamo negare che sia in Bosnia che in Rwanda e in Burundi la religione non era indifferente alle lotte tra fazioni, anche se ci sono stati episodi di eroismo di tanti fedeli che hanno testimoniato fino in fondo la loro scelta di pace e di amore.
Quindi la religione non è sempre pace se non si sta attenti, non solo nel fatto che l’uomo è debole ma anche nel senso che in lui la religione può produrre un’identità che si basa sull’etnia, sugli interessi particolari e di gruppo senza tener conto degli altri, e ciò può condurre all’esaltazione di sé, al fanatismo, al disprezzo degli altri, a fondamentalismi e intolleranze.
E questo è uno dei più grossi problemi dell’educazione religiosa e del rapporto tra religione e pace. Un’educazione religiosa che sappia condurre sì a un’identità forte, sicura, sincera, comunicativa, ma insieme che conduca a un’identità pacifica, umile, seria, capace di stimare gli altri senza essere diluita con scelte di parte ma che sia forte, dialogante, aperta.
Questo capolavoro educativo è l’ideale delle religioni ma è molto difficile ed è sempre minacciato, anche oggi. Quindi l’educazione alle beatitudini è necessaria ogni giorno confessando con umiltà che ne siamo lontani.


4) Ed è qui che si colloca allora l’opera dei profeti di pace che è l’ultimo punto della mia riflessione.
Che cosa si intende per profezia degli operatori di pace? Mi pare che dicendo così non si vuole intendere ogni operatore di pace e non ogni opera di pace, perché tutti, ogni uomo e ogni donna è chiamato ad essere operatore di pace. Ma se tutti siamo chiamati ad essere operatori di pace operando, credendo, perdonando nella vita quotidiana, nella famiglia, nella scuola, non tutti possono essere chiamati profeti di pace. Io riserverei la parola profeti proprio per quelle persone, per quei gesti, per quegli interventi che spiccano e scuotono, che commuovono ed anche inquietano, talora anche disturbano, ma poi fanno progredire verso l’Evangelo della pace. Ed è chiaro che allora si pensa a uomini come Gandhi, Martin Luther King, Papa Giovanni XXIII, Nelson Mandela, Madre Teresa, tanti uomini e tante donne che hanno sofferto in maniera straordinaria e in modi diversissimi per la pace. E quindi penso come profezia di pace anche a voi del Sermig che dovete operare in maniera incisiva e non solo ordinaria per la pace.
Ecco allora la domanda: quali suggerimenti vengono spontanei a un vescovo che così proprio perché è vescovo, ha dovuto fare esperienza con questa o quella profezia di pace?
Io vi esporrei 3 o 4 suggerimenti o esperienze molto semplici.
- I profeti di pace sono un grande dono per la Chiesa, dono che siamo chiamati a vivere, ad accogliere, che non possiamo disattendere e né programmare come dono.
- La legge del profeta che Mc 6 ci dice che spesso non è capito e addirittura disprezzato nella sua patria, per i suoi parenti, non è solo una legge antica ma è una legge che si ripete. E’ illusorio quindi essere profeta di pace e aspettarsi subito il plauso di tutti. Questo è anche storico. Perciò c’è sempre nella profezia degli operatori di pace qualche elemento di fatica e di sofferenza. Ed è normale che sia così! Sarebbe strano se non fosse così!
- Il profeta di pace non rappresenta, come abbiamo detto, tutta l’opera della Chiesa o della società per la pace, non copre tutte le gamme infinite dei quotidiani operatori di pace, centinaia di milioni di silenziosi operai della pace (madri di famiglia, malati, operai, servitori dello stato ecc) che vivono con serietà i loro doveri, ma esso è parte di tutto, membra di un corpo, e quindi devono accettare che il corpo sia più grande. Non possono pensare che tutto il corpo sia lingua per gridare o mano per cacciare i venditori dal Tempio perché nel corpo c’è anche la mente, il cuore, c’è la lingua che prega, che tace, che parla, c’è la mano che si agita e c’è anche la destra che non sa che cosa fa la sinistra. Il corpo della pace è immenso, grazie a Dio! I profeti della pace sono parte di questo corpo, importante, necessaria, ma debbono sentirsi in maniera grata in questa corpo immenso che Dio ha voluto. Il profeta è un membro e non la totalità.
- La profezia degli operatori di pace è un dono preziosissimo, che costa sacrificio, ma è anche un dono fragile, cioè accolto in vasi di argilla. Quindi va custodito ogni giorno nell’umiltà, nella preghiera, nel perdono quotidiano, nel dialogo con tutti, perché è un dono straordinario e quindi rischia di guastarsi facilmente. E’ come la pupilla dell’occhio della Chiesa, che deve essere difesa da ogni anche pur piccola cosa che possa offuscarla. Quindi è una vocazione preziosa, importante, una vocazione per la quale dobbiamo essere grati e insieme dobbiamo aiutare chi la possiede a custodirla perché il perderla andrebbe a sfavore di tutto il corpo.
Vorrei terminare con l’immagine evangelica del pianto di Gesù su Gerusalemme, espresso in Lc 19: “Se avessi compreso anche tu in questo giorno la via della pace”. S. Ambrogio commenta che il Signore Gesù pianse su Gerusalemme affinché, siccome essa non voleva piangere, ottenesse il perdono attraverso le lacrime.
C’è quindi quasi bisogno di un pianto interiore per l’umanità, per la vita dell’uomo, una preghiera costante e continua unita al pianto di Gesù su Gerusalemme, una preghiera efficace capace di cambiare il cuore dell’uomo con la forza straordinaria della pace.

 

vedi anche:
Storia di un uomo
La chiesa, la speranza, la pace

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