Chiamati a costruire la “Civiltà dell’amore” (3/5)

Pubblicato il 31-08-2009

di Bartolomeo Sorge

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RUOLO DEI FEDELI LAICI NELLA SOCIETÀ (parte prima)

Riflessione su come rigenerare i due primi pilastri della democrazia: passare dall’individuo alla persona integrale, dal legalismo formale ad una vera solidarietà fraterna.

di Bartolomeo Sorge S.I.

Si tratta di superare la visione antropologica neoliberista, utilitaristica e individualistica, che sta all’origine del relativismo etico e ha messo in crisi la «democrazia rappresentativa» 1 . Infatti, il «pensiero unico» neoliberista dominante ha corroso i pilastri fondamentali della democrazia rappresentativa: la persona (riducendola a «individuo»), la solidarietà (riducendola a «legalismo formale»), la razionalità (riducendola a «laicismo»). Perciò, lo sforzo che oggi dobbiamo fare è quello di porre a fondamento della nuova «democrazia deliberativa» o partecipativa una nuova cultura politica, passando:
A) dall’«individuo» alla persona integrale;
B) dal «legalismo formale» a una vera solidarietà fraterna;
C) dal «laicismo» a una laicità positiva.


A) Dall’individuo alla persona.
Il neoliberismo si fonda su una visione «debole» della persona umana intesa come individuo; una simile concezione intacca anzitutto il concetto stesso di «persona», giungendo a negare che ogni individuo sia persona, come nel caso di chi non fosse capace di relazioni normali a motivo di malformazioni genetiche.

In realtà l'uomo vale per quello che è, e non solo per quello che ha o per quello che fa. L'uomo merita amore e rispetto perché vive, non perché possiede. La sua dignità è legata proprio al fatto che è persona. Perciò, finché vive, ogni
1  BENEDETTO XVI, nell’enciclica Spe salvi (2007), analizza come si sia formata in Occidente questa cultura sull’onda del progresso scientifico e tecnico, stabilendo un rapporto ambiguo tra libertà e ragione (nn. 16-23); e conclude: «Se al progresso tecnico non corrisponde un progresso nella formazione etica dell’uomo, nella crescita dell’uomo interiore (cfr Ef 3,16; 2 Cor 4,16), allora esso non è un progresso, ma una minaccia per l’uomo e per il mondo» (n. 22).
persona.jpg uomo conserverà sempre la sua onorabilità; anche se è povero o infermo, anche se sbaglia o è delinquente. La persona umana non perde mai la sua grandezza nativa e nessuno gliela può togliere. L'uomo rimane sempre il principio e il fine della convivenza civile. È questa la ragione per cui – come rileva il Concilio Vaticano II –, almeno in via di principio «credenti e non credenti sono pressoché concordi nel ritenere che tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all'uomo, come a suo centro e vertice» (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n. 12). La difficoltà nasce invece, quando si tratta di chiarire l'origine e il fondamento della dignità della persona. Si danno tante spiegazioni. Tuttavia – come dimostra la storia – nessuna concezione puramente immanente dell'uomo riesce a fondarne in modo assoluto la dignità e l'esistenza di diritti inalienabili. Ogni volta che si nega o si ignora l'origine trascendente della persona, si cade nel relativismo e l'uomo si distrugge. La razza, la cultura, la salute, il potere, il successo, il danaro o qualsiasi altra realtà immanente, non potranno mai fondare il valore primario della persona.
Da qui viene il ruolo fondamentale dei cristiani nella crisi presente della società. Infatti, la rivelazione cristiana viene in aiuto, svelando l'uomo all'uomo. «La Sacra Scrittura, infatti, – aggiunge il Concilio – insegna che l'uomo è stato creato “a immagine di Dio”, capace di conoscere e di amare il proprio Creatore, e che fu costituito da Lui sopra tutte le creature terrene quale signore di esse, per governarle e servirsene a gloria di Dio» (Gaudium et spes, n. 12). In altre parole, la persona umana possiede – a differenza di tutti gli altri esseri viventi – una dignità trascendente e diritti inalienabili, perché è creata «a immagine e somiglianza» di Dio (Gen 1,26).


B) Dalla solidarietà alla fraternità.
Il secondo pilastro della democrazia rappresentativa, inteso in modo riduttivo dal neoliberismo, è il concetto di «solidarietà». Infatti, secondo la concezione individualistica della persona, ognuno è libero di scegliere e di fare ciò che vuole: l’unico limite è il rispetto della libertà altrui, e l’unico principio di autorità e verità è la volontà della maggioranza. Non esistono una presunta verità e una norma etica trascendenti, che possano impedire la libera autodeterminazione dell’individuo.

Tuttavia, la storia stessa dimostra che una libertà senza limiti e senza alcuna norma morale porta alla autodistruzione della stessa libertà e della solidarietà. I valori non dipendono dalla volontà libera degli uomini, né da maggioranze provvisorie e mutevoli; non li crea, né li decide lo Stato. Essi vengono prima della libera organizzazione della società; sono inscritti nella coscienza di ogni uomo e, in quanto tali, sono punto di riferimento normativo per la stessa legge civile. Compito dello Stato è tutelarli e coordinarli in vista del bene comune, ponendoli a fondamento dell’ordinamento democratico. Perciò, anche Giovanni Paolo II ribadiva: «Se non esiste nessuna verità ultima, la quale guida e orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia» (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae [1995], n. 70). Il sistema democratico è solo uno strumento e, come tale, riceve la sua moralità dal fine cui serve.

La concezione illuministica di libertà altera, perciò, il modo di intendere la legalità cioè il concetto di solidarietà, i rapporti dei cittadini tra di loro e con lo Stato. La legalità non può consistere nella mera osservanza formale delle regole in senso individualistico, ma è intrinsecamente sociale.
Un esempio per capire come il corroso pilastro della solidarietà, diventato puro legalismo formale, deve tornare ad essere fraternità perché il mondo viva nella pace. In auto. Il figlio della cultura del nostro tempo individualistico ed egoistico arriva al semaforo: semaforo rosso. Si ferma perché altrimenti paga la multa. Il limite è nel fare il proprio dovere. Questa non è solidarietà, è formalismo legale. Noi non possiamo costruire una famiglia soltanto rispettando freddamente le leggi. Arriva un altro. Al semaforo rosso si ferma perché se passa con il rosso rischia di investire il proprio fratello che passa legittimamente con il verde, e poi perché paga la multa. La legalità e l’osservanza delle leggi ci vuole, ma ci vuole anche l’amore che deve diventare fraternità. Ecco allora la funzione dell’ideale cristiano nella società di oggi: restituire alla legalità la dimensione fraterna, fare in modo di sentirsi fratelli.
solidarietà.jpg I cristiani sono chiamati ad essere i costruttori dell’amore, i costruttori della famiglia umana.
Infatti la società è una comunità di persone in relazione tra loro, non è un gregge di individui anonimi uno accanto all’altro, ciascuno dei quali pensa solo a se stesso: non c’è libertà personale senza responsabilità sociale. Il bene comune non è la somma totale dei beni individuali, ma è il bene di tutti e di ciascuno. «Dall’indole sociale dell’uomo – ribadisce il Concilio – appare evidente come il perfezionamento della persona umana e lo sviluppo della stessa società siano tra loro interdipendenti. Infatti, principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali è e deve essere la persona umana, come quella che di sua natura ha sommamente bisogno di socialità. Poiché la vita sociale non è qualcosa di
esterno all’uomo, l’uomo cresce in tutte le sue doti e può rispondere alla sua vocazione attraverso i rapporti con gli altri, i mutui doveri, il colloquio con i fratelli» (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n. 25).

Ancora una volta, il ruolo dei cristiani è determinante. La rivelazione cristiana, ancora una volta, viene in aiuto. La solidarietà ci vuole, ma la pura legalità da sola non basta: «In nome di una presunta giustizia (ad esempio, storica o di classe), talvolta si annienta il prossimo, lo si uccide, si priva della libertà, si spoglia degli elementari diritti umani. L’esperienza del passato dimostra che la giustizia da sola non basta e che, anzi, può condurre alla negazione e all’annientamento di se stessa, se non si consente a quella forza più profonda che è l’amore, di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni» (Giovanni Paolo II, Dives in misericordia [1980], n. 12).
 

di Bartolomeo Sorge S.I.


 

 

 

 

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