Chiamati a costruire la “Civiltà dell’amore” (4/5)

Pubblicato il 31-08-2009

di Bartolomeo Sorge


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RUOLO DEI FEDELI LAICI NELLA SOCIETÀ (parte seconda)

Passare dal laicismo ad una laicità positiva: riflessione su come rigenerare il terzo pilastro della democrazia.

di Bartolomeo Sorge S.I.

 

C) Dal laicismo a una «laicità positiva».
Infine, pure il terzo pilastro della democrazia rappresentativa – la razionalità, divenuta «laicismo» – oggi è in discussione.

Da un lato, la storia ha camminato, ma ha camminato pure la Chiesa: la dimostrazione storica dell’importanza decisiva della coscienza religiosa nella lotta contro le ingiustizie e per la pace è andata di pari passo con l’abbandono da parte della Chiesa dei vecchi schemi apologetici e il riconoscimento che la democrazia laica è il migliore sistema di governo. Ciò ha condotto al superamento, anche da parte dello Stato laico, delle antiche diffidenze e al riconoscimento della importanza sociale della religione. Chi può ancora sostenere che la fede è un fatto puramente privato e senza alcuna ricaduta sociale, di fronte alla parte avuta dalla coscienza religiosa nella caduta del muro di Berlino, nel riscatto di tanti popoli latino-americani, nella lotta alla mafia?

 

D’altro canto, anche la Chiesa ha camminato. Il Concilio Vaticano II ha riconosciuto la laicità come valore. Infatti – spiega la costituzione Gaudium et spes – le realtà temporali hanno un loro valore intrinseco, hanno finalità, leggi e strumenti propri, che non dipendono dalla rivelazione soprannaturale: «È in virtù della creazione stessa che le cose tutte ricevono la propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine. L'uomo è tenuto a rispettare tutto ciò, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola arte o scienza» (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n. 36). Per la Chiesa, quindi, la laicità non è un accidente storico, ma ha addirittura un fondamento teologico. bandiera.jpg
La conclusione è che ragione e religione non sono alternative, ma complementari. Questo ripensamento della nozione di laicità, imposto dalla evoluzione dei tempi e delle idee, è confermato da due casi emblematici: l’Accordo di revisione del Concordato lateranense tra la Santa Sede e la Repubblica italiana (18 febbraio 1984) e il Trattato costituzionale europeo (firmato a Roma il 29 ottobre 2004, ora sostituito dal Trattato di riforma dell’Unione, firmato a Lisbona nel dicembre 2007)1. La religione, dunque, non è più considerata un fenomeno privato, e lo Stato laico non può più ignorarla.
1  L’art. 1 dell’Accordo di revisione recita: «La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese». A sua volta, l’art. I-52 del Trattato costituzionale europeo (ora divenuto art. 16C del Trattato di riforma, approvato a Lisbona nel 2007) riconosce lo status di cui le Chiese, associazioni o comunità religiose godono nel proprio Paese (§1); quindi, dopo aver ammesso esplicitamente il valore sociale della religione, dispone che si instaurino rapporti stabili di collaborazione tra le istituzioni dell’Unione e le Chiese, attraverso «un dialogo aperto, trasparente e regolare» (§3). Nella società pluriculturale e plurietnica, il problema di trovare una via all'incontro nel rispetto delle diversità è divenuto improrogabile e urgente. Solo una laicità positiva consente l’incontro fra tradizioni diverse, nel rispetto della identità di ciascuna. La nuova laicità, intesa non più come opposizione tra separati, ma come collaborazione tra diversi, comporta che, senza rinunciare alla propria identità, si cerchino insieme piste concrete per realizzare il maggior bene comune possibile in una data situazione, consapevoli delle necessarie mediazioni da compiere.

Ciò può fare problema soprattutto ai cattolici, chiamati a ispirare le scelte politiche a esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili. Tuttavia, è la natura stessa dell’arte politica a non consentire che quelle esigenze assolute si traducano immediatamente in leggi, ma a imporre la necessaria gradualità richiesta dalle situazioni concrete. Lo rileva il Compendio della dottrina sociale della Chiesa: «Il fedele laico è chiamato a individuare, nelle concrete situazioni politiche, i passi realisticamente possibili per dare attuazione ai principi e ai valori morali propri della vita sociale. […] la fede non ha mai preteso di imbrigliare in un rigido schema i contenuti socio-politici, consapevole che la dimensione storica in cui l’uomo vive impone di verificare la presenza di situazioni non perfette e spesso rapidamente mutevoli» (Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 568).
Pertanto, la collaborazione politica dei cattolici con partner di diverso orientamento culturale va impostata laicamente e nel rispetto delle regole democratiche, senza con ciò compromettere la propria identità e la coerenza con i valori ispiratori. Questo incontro sul piano della laicità è il passaggio forzato alla democrazia deliberativa.

Nello stesso tempo, i cristiani, mentre si impegnano in politica a rispettare pienamente la laicità e le regole democratiche, ricercando il maggior bene concretamente possibile in dialogo con gli uomini di buona volontà, non rinunceranno mai a testimoniare la forza profetica e critica del Vangelo. Tocca alla Chiesa intera di annunziare profeticamente, con la Parola e con la vita, che «il potere di Dio è diverso dal potere dei potenti del mondo.
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Ora, questo passaggio dalla democrazia rappresentativa alla «democrazia deliberativa» non è scontato: siamo tutti impreparati. Ecco perché è essenziale il discorso sulla educazione politica. Tanto più oggi che la «questione sociale» è divenuta «questione antropologica», i cui problemi gravissimi – quelli cosiddetti «eticamente sensibili», insieme a quelli della pace, della salvaguardia del creato, della convivenza multietnica e multiculturale – esigono l’incontro e la collaborazione di tutti gli uomini di buona volontà, quale che sia la loro razza, la loro cultura, la loro religione.

Si tratta di realizzare un «neo-personalismo solidale e laico», che consenta di «andare oltre» le contrapposizioni, per fare unità nella diversità, mantenendo ciascuno le proprie radici e la propria storia, ma superandosi in una visione superiore comune. Si tratta di passare dalla persona intesa come individuo alla persona intesa in senso integrale, dalla solidarietà ridotta a mera realtà relazionale alla fraternità e dal laicismo inteso come separazione e contrapposizione alla laicità intesa come distinzione nella cooperazione per il bene comune. In una parola: dalla democrazia rappresentativa alla democrazia deliberativa.

Tuttavia, non basta ripensare i pilastri teorici della «democrazia rappresentativa», oggi corrosi; ma, nello stesso tempo, bisogna avere il coraggio di misurarsi con i problemi concreti, realizzando le necessarie riforme che consentano la partecipazione soggettiva dei cittadini, affinché essi si sentano coinvolti in prima persona nelle decisioni che contano e non siano solo consultati. Ma, per questo, occorre formarsi.

di Bartolomeo Sorge S.I.


 

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